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Ormai il piano tattico del Bologna è chiaro: contro le squadre più forti si lascia loro il palleggio, si cerca di controllare il ritmo della partita sfruttando ciò che fa passare il momento, si annusa la gara insomma; contro le altre ce la si gioca di più, quando riesce.
Come da previsioni, la Fiorentina ti è venuta a prendere alto, ti ha tolto libertà di impostazione e l’assenza di Arnautovic ha amplificato alcune lacune evidenti del “nuovo gioco” del Bologna, prima delle quali, la quasi totale mancanza di profondità.
Poi ci aggiungiamo una squadra un po’ al gancio stante le tre partite in una settimana (cosa tra l’altro che capita a quasi tutte), un avversario con tutti gli effettivi a disposizione e con una rotazione di calciatori ottimale e la sconfitta arriva di conseguenza.
Si poteva fare altro?
Nel calcio si può sempre fare altro, soprattutto prima (dopo son capaci quasi tutti) se si hanno idee e si vuol giocare sull’avversario, perché le complicazioni sono apparse quelle preventivate: la difficoltà di intercettare il palleggio avversario era la chiave tattica sulla quale preparare la partita stante la scelta di restare bassi (la Fiorentina è terza per possesso palla e terza per percentuale di precisione del palleggio, il Bologna dodicesimo per possesso e decimo per percentuale di precisione del palleggio, statistiche in evidente calo dopo le ultime due partite, non un caso): non riuscendo praticamente mai a prendere palla forse impiegando un attaccante con caratteristiche fisiche diverse, qualche giocata lunga per tentare di abbassare la linea difensiva dei viola (che non è apparsa irreprensibile) era necessaria per andare sulla seconda palla e provare a stare qualche frazione di minuto nella metà campo avversaria, così da alleggerire la pressione, allarmare il loro reparto difensivo per togliere loro autostima e consapevolezza.
Invece la mossa tattica è stata quella di farli palleggiare in tranquillità sperando di non commettere errori, praticamente un terno al lotto, per poi inserire a gara compromessa la doppia ala destra, Orsolini di punta e Skov Olsen esterno, con il conseguente spostamento di Barrow a sinistra: mah!
Lasciare il palleggio agli avversari per scelta a me non è mai sembrata un’ideona, tantomeno nel calcio di oggi dove provano a palleggiare anche le neo promosse, ma d’altronde la buona classifica sta facendo passare in secondo piano concetti ben più importanti che si sono andati a perdere per inseguire il pragmatismo del risultato: quando poi questo non arriva ti lascia l’amaro in bocca, perché rimpiangi ciò che poteva essere e non è stato: la partita l’hai fatta giocare agli altri e quando gli altri sono anche più bravi succede che vincono loro, gli altri.
Le sconfitte non sono tutte uguali e la classifica parziale (a volte anche quella finale, vedere la Sampdoria solo come ultimo esempio) è solo un’attrattiva lusinghiera, il più delle volte ingannevole.
Immagino che partiranno gli strali contro la dirigenza, rea di non aver messo a disposizione ventidue titolari (chi non ha ventidue titolari, diamine!) e contro Saputo, ormai un evergreen (vuoi mettere Commisso: dopo due anni ci è già davanti, ecchecazzo!).
Un allenatore che decide dopo sei gare di ribaltare completamente tutto quanto fatto prima compreso le scelte di mercato, invece passerà per il povero che deve fare con quel che passa il convento.
Tosco