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Il calcio è uno sport meraviglioso perché concede di poter recriminare circa un episodio, anche quando la partita finisce con un scarto di cinque reti; inutile girarci intorno: la fischiata del sig. Colombo contro Lucumì con annesso cartellino giallo, ha contribuito in modo palese ad invertire il trend di una gara che invece viaggiava su binari di assoluta incertezza.
Analizzando la gara finché gara c’è stata, i ragazzi di Motta hanno interpretato molto bene il piano tattico, chiudendo spazi vitali agli avversari nella parte centrale del campo, obbligandoli ad aggirare la linea difensiva del Bologna per trovare corridoi alternativi ma perdendo tracce di gioco a loro più congeniali.
Sulle difficoltà dell’Inter i rossoblu hanno costruito una manovra diametralmente opposta: giocate a due tempi dirette sull’uomo libero sopra la linea del palleggio, e una certa facilità ad arrivare al tiro; poi la punizione incriminata: da lì, il mondo cambia, il Bologna perde la brocca ed a livello di analisi non resta che allargare le braccia e rimproverare una squadra che non dovrebbe permettersi di sbragare, perché certe figurette, nel professionismo, non sono tollerabili: valeva per Donadoni e per Mihajlovic ieri, vale per Thiago Motta oggi.
Il mister rossoblù in conferenza stampa, si è assunto la responsabilità della debacle (…e ci mancherebbe!), ma non è sufficiente: l’autocritica deve partire, a mio avviso, dalla mancanza di identità tattica che la squadra continua ad avere nonostante le tre vittorie consecutive; è quanto non sono riuscito a vedere nel suo Spezia della scorsa stagione e che non vedo nel suo Bologna di oggi: una squadra che ha sprazzi di calcio interessanti per qualità di idee riguardanti rotazioni offensive e occupazione degli spazi ma dentro ad un canovaccio, mediamente modesto per intensità ed applicazione, come le tante frazioni di gioco che abbiamo visto praticamente in tutte le gare disputate fino ad oggi col tecnico italo brasiliano del Bologna.
La adattabilità agli avversari è una risorsa riconosciuta alla “nouvelle vague” di Motta, ma diventa un limite quando condiziona le prestazioni tattiche: se si ha la volontà di essere artefici del proprio destino (cosa dichiarata più volte dal mister rossoblu) bisogna interpretare le gare con filosofie di gioco più “identitarie” per usare un termine in voga in questo periodo storico: non si possono disputare frazioni di tempo come il secondo di ieri sera, il primo contro il Toro, il secondo contro la Samp, l’intera gara contro la Juve in cui la squadra vaga per il campo senza una volontà chiara; un esempio: ieri per il recupero palla (PPDA) il Bfc ha impiegato 34,40 passaggi, contro il Toro 11,50 c’è una logica in tutto ciò?
Si: ti adatti all’Inter e ti ipnotizzano, ti adatti al Toro e ti tocca correre!
Thiago Motta non me ne vorrà, ma una precisa filosofia tattica divide gli allenatori tra quelli che lasciano qualcosa a quelli che non lasciano traccia.
Thiago appare come un predestinato e lo “standing” in effetti non gli manca, così come non gli mancano certo le idee di un calcio di nuova generazione: sarebbe opportuno che queste apparissero con più determinazione perché ad oggi, per accorgersene, ci vuole molto intuito.
Tosco
Foto: Getty Images