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Quarta partita e ancora qualcosa dentro che fino ad oggi non si era visto: nella gara contro la Samp, nonostante una prova generalmente modesta, la squadra ha cercato di tanto in tanto qualche verticalizzazione direttamente sugli attaccanti o sul terzo uomo di rincorsa; ieri sera si è vista invece una risalita del campo meno diretta e più manovrata, con il coinvolgimento di tanti calciatori a cucire la trama offensiva, con una buona occupazione degli spazi nella metà campo avversaria ed una discreta propensione al tiro.
La verticalità contro la Sampdoria e l’attacco a pieno organico contro il Napoli sono concetti espressi da Thiago Motta in sede di presentazione: nelle prime due gare non si erano percepiti, nelle ultime due, seppur ad intermittenza, si sono intravisti dentro ad una idea di gioco ancora poco totalizzante: non si vede una chiara propensione a fare qualcosa di definitivo ma, al contrario, la “rivoluzione” di Thiago Motta sembrerebbe andare a toccare altri aspetti probabilmente meno imnediati dei quali si potranno avere benefici (forse) solo più avanti nel tempo.
Non mi riferisco a quelli che vengono erroneamente chiamati esperimenti: mi sembra che il nuovo mister dei rossoblù non abbia certo stravolto i ruoli dei calciatori impiegati, semmai ha dato loro compiti per attitudini che hanno nel loro bagaglio tecnico: Aebisher ad esempio fa della corsa più che del palleggio il suo mestiere e allora eccolo ad allungare la squadra e a ripiegare per compattare il centrocampo, Dominguez in zona di campo più offensiva aiuta la risalita e confeziona assist, ma gli altri giocatori mi sembrano impiegati nei loro ruoli, ma per qualcuno si tratta di esperimenti!
Io davvero fatico a comprendere chi parla di calcio così: si chiamano soluzioni e coinvolgimento di tutta la rosa senza tanti figli e figliastri!
Gli esperimenti diventano tali quando prendi uno o più calciatori e li metti a fare ruoli completamente diversi dalla loro apparente natura calcistica oppure, quando stravolgi totalmente un modo di stare in campo rispetto al recente passato; nonostante una occupazione degli spazi diversa, il Bologna di Motta non attacca in maniera forsennata rispetto al Bologna dell’ultimo Mihajlovic, non pressa a tutto campo, anzi il baricentro resta mediamente basso, le entrate in area avversarie ancora merce rara; la differenza piuttosto la si trova sul numero degli uomini che accompagnano l’azione offensiva, ma niente di sperimentale e di così diverso da gridare al Thiago Motta impazzito o chissà cosa!
Anzi, la cosa che manca oggi a questo nuovo corso è proprio una idea totalizzante: mi riferisco a quell’aspetto identitario che le squadre “vere” dimostrano: cosa ha colpito dell’Atalanta di Gasperini, del Sassuolo di De Zerbi del Verona di Juric ma anche del Bologna del primo Mihajlovic?
La forte identità, nonostante proposte calcistiche totalmente differenti tra loro: Gasperini si riconosce(va) per l’aggressione e l’attacco esaperato, De Zerbi per la costruzione da dietro e il possesso sempre e comunque, Juric per le palle lunghe e le marcature uomo contro uomo tutto campo, il primo Mihajlovic per il baricentro alto recupero palla e verticalità immediata.
Ecco, manca (ancora) una forte identità, ma è roba complicata e non per tutti.
Tosco
Foto: Getty Images